La Storia e le storie

E' vero che Il Nome della Rosa è stato girato alla Sacra? Quante volte ci è stato chiesto da qualche visitatore che, con il naso all'insù, cercava di scorgere la fine dello scalone dei morti e di capire cosa l'aspettava nella luce abbagliante oltre il varco del Portale dello Zodiaco. Questo è quello che scrive Umberto Eco in una lettera al Rettore dell'Abbazia datata il 20 febbraio 1995. "Caro Rettore ...

E' interessante scoprire il percorso storico che Don Bosco ha fatto, salendo sul Pirchiriano a più riprese, dove conosce i Rosminiani e poi direttamente Antonio Rosmini a Stresa.

I Rosminiani vengono chiamati da Carlo Alberto alla Sacra nel 1836, dopo un lungo periodo di abbandono dell’abbazia. Don Bosco vi sale poco dopo, nel 1840, da Avigliana dove era venuto, invitato dall’amico aviglianese (conosciuto nel seminario di Chieri) don Francesco Giacomelli, per una predica in onore del Rosario. Don Bosco poi prosegue alla volta di Forno di Coazze, dove è parroco un cugino di don Giacomelli, arrivandovi a tarda notte (consuetudine a quei tempi). Nelle memorie biografiche di Don Bosco questa prima salita viene ricordata con molto entusiasmo per le peripezie incontrate; la Sacra rimane nel cuore e nei ricordi di Don Bosco che, essendovi in prossimità, la raggiunge. Infatti nella prima quindicina del settembre 1850 Don Bosco conduce un centinaio di giovani a passare una settimana di sacro ritiro nel piccolo Seminario di Giaveno, da dove poi li porta a fare un’escursione proprio alla Sacra di San Michele.

Don Bosco è attratto dallo spirito rosminiano, infatti già nel 1847 desidera conoscere da vicino l’Istituto di Carità fondato dall’abate Antonio Rosmini e si reca a Stresa. Purtroppo Rosmini è assente, viene accolto da Padre Fradelizio (che poi incontrerà anche alla Sacra) che sperava che Don Bosco diventasse rosminiano e viene condotto dallo stesso alle Isole Borromee, a Pallanza, a Intra e al Santuario di S. Caterina del Sasso, al di là del lago Maggiore.

Il 16 settembre 1850 ripartiva per Stresa, desideroso di conoscere meglio il regolamento ed il metodo disciplinare di quella Casamadre, deciso com’è di dare anch’egli principio ad una Società Ecclesiastica. In quell’occasione, grazie ad un’amicizia nobiliare, fa visita ad Alessandro Manzoni che si trovava a Lesa in vacanza. Il grande romanziere fa vedere a Don Bosco i suoi scritti infarciti di correzioni. Don Bosco non ha altro contatto col celebre scrittore all’infuori di questo, ma gli basta a persuadersi sempre più essere la semplicità nello scrivere frutto di lunghi studi.

A Stresa viene accolto con mille feste da Rosmini e dai suoi religiosi, e dimora con loro più giorni, intrattenendosi lungamente coll’Abate, il quale, nei disegni della Divina Provvidenza, doveva essere uno dei suoi primi benefattori. Il legame tra i due santi rimarrà per sempre. Nell’ultimo viaggio a Stresa Don Bosco tratta coll’abate Rosmini di aprire una casa dell’Istituto della Carità accanto all’Oratorio per aiuto reciproco, anzi a tal fine aveva già comperato un pezzo di terreno su cui sorse poi in gran parte il Santuario di Maria Ausiliatrice; e dal Rosmini aveva ottenuto un prestito di 20.000 lire (di fronte ad una richiesta di Don Bosco di sole 12.000 lire)…

Don Bosco inizia così, confidando sempre nella Divina Provvidenza, la costruzione dell’Oratorio (siamo nel 1851)…

Dopo un mese il nuovo edificio sporge già di alcuni metri da terra; e Don Bosco non vede l’ora di vederlo compiuto. Prima ancora che ne facesse collocare la prima pietra, egli pensa già alle travi del tetto! Abituato com’era a fare appello a chiunque poteva aiutarlo, aveva scritto familiarmente ai Padri Rosminiani (a Padre Fradelizio) della Sagra di San Michele, che torreggia sopra un alto sperone roccioso, all’imbocco della val di Susa. Così si esprime Don Bosco:

«Pieno di desiderio di volare sul Pirchiriano, ne sono dalle mie faccende trattenuto. Causa principale di queste faccende è la Chiesa costruenda, a cui V.S.Car.ma deve (non sub gravi) prendere parte. In qual modo? Non con mattoni, che sono troppo pesanti: non con denaro, perché in Torino c’è la Zecca: dovrà prender parte col mandarmi qualche fascio di legna, qualche trave di maleso (larice) e alcuni listelli e montanti per fare il coperto della mia povera chiesa. Mi raccomandi di questo anche al signor Prevosto di S. Ambrogio; e, inter totos et omnes, mi aiutino pel coperchio del già cominciato edifizio. Questa mia lettera manca di molte qualità, ma la tolleri come scritta da un birichino; facciami anche una parrucca, purchè mi mandi qualche fascio di legna.»

E l’11 febbraio 1863, in modo veramente prodigioso, Don Bosco poteva recuperare il campo dei sogni, che aveva ceduto all’Abate Rosmini per soddisfare il prestito di 20.000 lire.

Silvio Amprino

Articolo precedentemente pubblicato su Sacra Informa Pasqua 2015 (Anno 23 (22) n. 1)

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